Pubblicammo questo lavoro con il dott. Appignanesi negli anni 70 quando il primario chirurgo dell’ospedale di Foligno era il prof. Mario Negri. Si trattò di andare a ritrovare tute le pazienti che erano state operate di tumore della mammella negli anni durante i quali il prof. Negri aveva diretto il reparto ( 1954-1976 ). Si riportarono le complicanze, la sopravvivenza , la familiarità, ed altri indici di una popolazione di varie centinaia di casi. Uno studio complesso che comportò il reclutamento di pazienti diffuse in un ampio territorio e alcune lontane nel tempo del trattamento. Fu anche un omaggio a Mario Negri che stava lasciando la direzione del reparto. Il lavoro fu pubblicato sulla rivista: OSPEDALI D’ITALIA CHIRURGIA.
La chirurgia della mammella oggi
Gli interventi chirurgici sulla mammella hanno subito nel tempo, con un’accelerazione in anni recenti, un cambiamento in senso minimalista. In passato interventi ampiamente demolitivi, seguendo il concetto di asportare quanto più possibile dei tessuti coinvolti dalla malattia, in modo di azzerare o ridurre al minimo il residuo di cellule degenerate, da trattare poi con altri mezzi. Oggi si è passati a interventi sempre più riduttivi sino a ipotizzare e in alcuni casi a praticare la semplice enucleazione del tumore. Di pari passo si è andato enfatizzando il ruolo delle altre terapie radio e chemio che hanno delimitato e ridotto il ruolo della chirurgia. Ci sono delle basi scientifiche in tutto questo processo, convalidate attraverso l’utilizzo della statistica che fornisce gli strumenti di legittimazione dei nuovi approcci terapeutici. E dunque si prendono gruppi di pazienti trattati con i diversi approcci e dopo anni di osservazione, si decide in base allo stato di salute il metodo migliore. Una critica a tutto questo viene da queste considerazioni. La prima è che l’arruolamento dei pazienti per creare questi gruppi, il seguirli nel tempo e stilare risultati non è scevro da imperfezioni o bias come dicono gli anglo-sassoni. Il secondo è che considerazioni di ordine estraneo alla cura oncologica spingono verso scelte non corrette da quel punto di vista. Dunque l’aspirazione a conservare la mammella anche se menomata, diventa motivo pressante a scegliere l’intervento meno demolitivo. Sintomatico l’affermazione del linfonodo sentinella come criterio di giudizio se estendere o no la linfectomia al cavo ascellare. Dunque se il linfonodo è indenne, ci si ferma lì. Ma non si può escludere che qualche cellula neoplastica abbia saltato il filtro del primo linfonodo e sia nei linfonodi di secondo o terzo livello. Non c’è dubbio che gli affinamenti in tema di radioterapia e chemio- terapia tendano a limitare il ruolo della chirurgia. Rimane che l’asportazione del tumore estesa ai tessuti contigui aumenta il grado di radicalità dell’intervento. Il concetto della radicalità trova un limite nella fattibilità della manovra e delle complicanze che essa induce, che vanificano i vantaggi concettuali della stessa. Questo è massimamente evidente nel trattamento del tumore dello stomaco dove dopo molte sperimentazioni, si è deciso di fermarsi al secondo livello linfonodale per le ragioni di cui sopra. Questo vale per la nostra chirurgia occidentale, cinesi e giapponesi continuano a praticare linfectomie estese con risultati a loro avviso straordinari in termini di risultati. La qual cosa senza togliere nulla alle altre terapie riafferma il ruolo fondamentale della chirurgia e se possibile radicale nella cura dei tumori. Per la mammella implicazioni di ordine estetico e psicologico, legittime e comprensibili possono rappresentare una variabile non valida scientificamente che condiziona la scelta del trattamento.