Lo stato della Sanità in Italia secondo la Fondazione Gimbe
La Fondazione Gimbe ogni anno pubblica uno studio sullo stato della Sanità nel paese. L’ultimo report denuncia un progressivo depotenziamento della Sanità Pubblica che ha molte cause, tra le altre una inadeguatezza della spesa sanitaria non in grado di soddisfare i bisogni del sistema. L’inadeguatezza è nel confronto con gli altri paesi d’Europa, di percentuale rispetto al Pil, se pur la spesa annuale in termini numerici aumenta. Inoltre si assiste ad un progressivo sviluppo della Sanità privata rispetto alla pubblica, alla differenza di prestazioni nelle diverse regioni, con luoghi di eccellenza rispetto a luoghi di inefficienza. Si lamenta una carenza di personale per mancate assunzioni del passato e per la fuga di professionisti dal pubblico al privato, quando non all’estero. Si denuncia una perdita di fiducia degli utenti, con l’emergere di contestazioni violente di cui la cronaca riporta numerosi episodi. A fronte di tutto questo e di altro per brevità omesso, si propongono punti qualificanti di manovra per affrontare e risolvere la situazione.
- La salute al centro di tutte le decisioni politiche
- Approccio one health, che significa la salute di tutto: uomo, animali e ambiente
- Governance stato regioni
- Finanziamento pubblico da incrementare
- Livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio nazionale
- Organizzazione ed integrazione dei servizi sanitari
- Personale sanitario da incrementare, motivare, retribuire
- Sprechi e inefficienze da combattere per recuperare risorse
- Rapporto pubblico-privato
- Sanità integrativa
- Ticket e detrazioni fiscali per evitare sprechi e abbassare il consumo di farmaci
- Transizione digitale
- Informazione ai cittadini
- Ricerca sanitaria
Tutto bene e opportuno, ma richiamano alla mente i piani quinquennali del regime sovietico. Andarono bene finché rimase vivo lo spirito rivoluzionario. Quando questo si affievolì o venne meno del tutto, fallirono. Oppure ricordano le grida manzoniane, o la fiera delle buone intenzioni belle e virtuose, ma voci clamanti nel deserto. È che, al di là delle difficoltà economiche, del clima di guerra, e di tutte le altre criticità del nostro tempo che non fanno sperare niente di buono circa la tenuta del nostro sistema di vita, manca lo spirito che da sempre governa la storia. Perché con buona pace della lettura in chiave economica e materialista della storia, è lo spirito che fa muovere i singoli e i popoli, fa loro superare ostacoli incredibili come fu per l’Islam dai deserti arabi alla conquista del mondo, con la costruzione di un impero che rivaleggiava con il passato romano. In chiave minimalista é lo spirito che animò la riforma sanitaria degli anni settanta che fece dell’Italia la migliore sanità del mondo. Diritto alla salute gratuito per tutti in quanto cittadini dello stato italiano che si faceva carico di ogni cosa. Poi arrivò l’aziendalizzazione della sanità con la priorità economica gestita da politici riconvertiti alle esigenze del mercato ad opera di colletti bianchi della Bocconi che cominciarono a perlustrare gli ospedali d’Italia. Usavano termini e linguaggi sconosciuti, astrusi in particolare per il personale sanitario che sapeva di anatomia, fisiologia, patologia, terapia. Tutto quello si dava per scontato, ma scontato non era e non è. E la nuova gestione ha portato a marginalizzare il ruolo dei sanitari con il ruolo preminente della politica che ha comportato in alcuni casi scelte dettate da pregiudizi ideologici, necessità elettorali, degenerazioni di tipo corruttivo. Un colpo decisivo ed esemplificativo del discorso lo dette la riforma Bindi che, mossa da nobili intenti, introdusse l’istituto dell’INTRA-MOENIA. Portò alla dimensione economico-finanziaria della professione, con la progressiva demarcazione in due settori dell’ospedale pubblico, quello per i paganti e quello per i poveri, con tutto il corredo di attese e qualità delle prestazioni che comportò.
Come insegna la storia occorre una rivoluzione dello spirto per risolvere queste e altre problematiche, che nella nostra società mercantile non è dato di intravedere.