L’Europa tra la Russia e l’America.                           Sogno di autonomia

 

 

Le due guerre mondiali del XX secolo hanno visto emergere e poi affermarsi il predominio mondiale degli Stati Uniti d’America e della Russia sovietica. L’Europa, sino ad allora, e da molti secoli, leader incontrastato planetario, ha progressivamente ridotto la sua influenza e il suo predominio. Sino ad essere divisa, dopo il trattato di Yalta del 1945 in due parti, ciascuna una sorta di protettorato, da un lato russo e dall’altro americano. Il resto del mondo al di fuori dell’America, della Russia e, per quello che ancora contava, dell’Europa, relegato ad una dimensione localistica, e in vario modo sotto l’influenza delle superpotenze.                                                                                               Poi alla fine del secolo l’URSS implode, nonostante il tentativo virtuoso di Michail Gorbacev di modernizzazione, e risoluzione della guerra fredda in atto con l’Occidente con un accordo sul nucleare e l’apertura a relazioni meno conflittuali.                                                                                                                                                                                          La manovra non riesce e si risolve nella dissoluzione del paese che aveva dato vita per oltre settanta anni all’utopia comunista. Seguì la frammentazione del blocco sovietico con la nascita di repubbliche indipendenti in Asia, nel Caucaso, in Europa, nella regione Baltica.          Questa fase vede la regia del primo presidente della nuova Russia, Boris Nikolaevic El’cin che licenzia il predecessore e svende l’URSS, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, a favore di potentati economico- finanziari che creano la nuova figura degli oligarchi, spesso ex funzionari pubblici che si appropriano delle aziende statali privatizzate.

L’Europa orientale, raggiunta l’indipendenza dalla Russia, aderisce all’Occidente dell’Unione europea e anche all’alleanza militare della Nato, che era nata come difesa dal Comunismo russo, ed ora non avrebbe avuto più motivo di esistere. La controparte di fatto si è arresa senza combattere, addirittura ha aderito all’economia di mercato liberista, con gli oligarchi, nuovi ultraricchi capitalisti, che fanno affari in tutto il mondo. Spesso portano la loro residenza in Occidente, hanno ville e yacht, vite di gran spolvero ed edonismo a gogò!                                          Sconfitta l’idea comunista, ovunque trionfa il modello liberista americano.

Ma c’è un oscuro ufficiale del KGB, il servizio di polizia segreta dell’Unione Sovietica, di stanza in Germania Orientale nel 1991, che non vive bene il mutamento, o si potrebbe dire la sconfitta. Animato da un desiderio di riscossa, scala i gradini del potere, e quando El’cin, eroso dagli anni e dall’alcool lascia la carica di presidente della Federazione Russa, Vladimir Vladimirovic Putin va al potere.                                                                          Come accade ogni tanto nella storia, l’uomo, si sente messo lì dal destino per caricarsi delle sorti del popolo. E Putin riassume in sé il passato zarista, sovietico, comunque imperiale e cristiano della grande madre Russia, come aveva fatto anche Stalin nel momento drammatico dell’invasione nazista, quando lui ateo e capo di uno stato ateo si era richiamato alla dimensione religiosa per la grande lotta di resistenza, rivolgendosi al popolo non più e non solo con l’appellativo di compagni, ma di fratelli. Non disse in Cristo, ma il messaggio drammatico in qualche modo lo presupponeva, tanto che la chiesa ortodossa si schierò compatta al suo fianco, come oggi accade con padre Kirill nei confronti del nuovo autocrate.                                                                                                                                                  Dunque Putin si guarda intorno, prova un avvicinamento all’Occidente sulla linea percorsa da Gorbacev, quasi un tentativo di adesione all’Unione Europea, come a percorrere l’antica strada di Pietro il grande, nel chiarimento sempre rimandato su quale delle due anime russe, slavista o europea far prevalere. Pietro aveva fondato San Pietroburgo per diventare europeo, la fece costruire e adornare di opere d’arte da italiani e francesi, e nella corte russa si parlava francese e la famiglia dello zar aveva sangue tedesco. Ma anche il suo tentativo rimase nel guado, un po’ più Europa, ma non del tutto. L’ideologia panslavista, le immense distese della steppa asiatica, le sconfinate foreste siberiane parlavano altri linguaggi.                                                                                                                                   Anche Putin, artefice Berlusconi, tenta un avvicinamento con il presidente americano Bush, si ipotizza perfino di una entrata della Russia nella Nato. Ma c’è di mezzo il pregiudizio anglosassone che vede nei russi il nemico storico, e non si fanno i conti con il sogno imperiale che i francesi da Napoleone in poi non smettono di inseguire, né con quello degli inglesi ancora presente nella forma del Commonwealt.  C’è poi la memoria storica dell’immane massacro perpetrato dai tedeschi sui russi e di questi sui tedeschi, e di quanto è successo con i polacchi, e i popoli baltici.  Soprattutto, la civiltà occidentale della democrazia, dei diritti, del laicismo, del relativismo religioso sino all’ateismo, delle rivendicazioni del mondo LGBT, del femminismo, dell’inverno demografico, del senso di colpa per il passato storico ….        confligge con il sentire profondo dell’anima russa refrattaria agli stilemi edonistici, immanentisti e nichilistici della cultura occidentale.                      Il tentativo abortisce, lo sguardo del nuovo czar si volge ad oriente, si ritorna alla guerra fredda che con la guerra in atto con l’Ucraina diventa calda.                                                                                                                     Animato da uno spirito di revanscismo, Putin cerca nei valori della tradizione le motivazioni per rifare grande la Russia, elabora un’analisi del mondo occidentale, ne legge le criticità in termini di dissoluzione di una democrazia corrotta. La diffusione delle droghe, l’instabilità politica, i conflitti sociali, la povertà contrapposta a ricchezze scandalose, il persistente sfruttamento neo-coloniale dei paesi del terzo mondo, tutto questo e altro ancora certificano una debolezza strutturale che da sola, e con qualche aiuto esterno porterà al collasso.                                                  È convinto che c’è spazio per ridare grandezza e prestigio alla nazione, per ricostruire il sogno imperiale russo. Si appoggia alla tradizione, riporta a San Pietroburgo, che non si chiama più Leningrado, nella chiesa di San Pietro e Paolo le salme della famiglia imperiale di Nicola II, i cui resti erano sepolti in una fossa comune a Ekaterinburg una città della regione degli Urali. Riesuma come bandiera nazionale il tricolore bianco, blu, rosso di Pietro il grande, al posto della bandiera rossa con la falce e martello del regime comunista. Nello stemma del presidente ricompare l’aquila bicipite dei Romanov e la figura di San Giorgio che uccide il drago. Che altro dire?                                                                                                               Il passato monarchico e cristiano che rivivono in questi simboli, e con il velo di nebbia steso sugli anni di regime sovietico. L’obbiettivo di ricostruire l’impero russo così prende corpo, supportato dall’appoggio incondizionato della Chiesa ortodossa moscovita. Putin si propone come un nuovo Costantino, difensore della Cristianità contro i diavoli dell’ateismo occidentale e dell’Islam aggressivo e terroristico. Il regime autarchico gli consegna un popolo sottomesso e complice del sogno di riscatto. Dunque rivendica il trattato di Yalta che aveva consegnato alla Russia una zona d’influenza, che ora l’Occidente sta in qualche modo occupando con l’allargamento di quei paesi alla Nato. Nonostante la promessa formale fatta a Gorbaciov dagli occidentali che questa cosa non si sarebbe verificata, merce di scambio per il ritiro delle truppe sovietiche dai paesi sino allora aderenti al patto di Varsavia.

Ma la Russia continua ad essere Europa, nonostante l’emergere dell’anima slavista con lo spostamento ad est della politica del Cremlino: Cina, Corea, ex paesi sovietici dell’Asia centrale, e la presenza nei vari continenti del mondo: Africa e America del sud.                                                Lo è da sempre e lo è ancora negli scambi commerciali, negli scambi culturali della musica, della letteratura, dell’arte in genere.                         Si manifesta pervasivamente con il tentativo di inserirsi nella dinamica politica delle singole nazioni: sostegni economici, propaganda, forse azioni di spionaggio. L’arma potente delle risorse energetiche, del gas in primis, e le infinite altre di cui è ricco l’immenso territorio russo fanno da supporto formidabile a questo disegno.                                                          L’Europa sembra voler resistere a questi condizionamenti in nome della ideologia dei valori del progresso e paventando una subalternità di cui gli Stati Uniti d’America sarebbero diga e contraltare.                                            Ma nonostante tutto l’Europa rimane centrale nel disegno imperiale russo: un’attrazione fatale che porta ad un ineludibile ciclico scontro.  Oggi questo ha preso il nome di Ucraina.

Però bisogna fare i conti con le regole dell’economia, vero motore del mondo. Essa condiziona politiche, alleanze, guerre. L’attuale conflitto tra Occidente-Ucraina e Russia sta portando alla rovina dei due campi, esclusi gli Stati Uniti d’America che con le guerre hanno sempre risolto i problemi economici. Si pensi alla crisi del 29’, gli States ne vennero fuori solamente nel 43 dopo l’entrata in guerra di Roosevelt a sostegno della Gran Bretagna. Astenendosi dalle motivazioni ideali che avevano contribuito a forzare la scelta isolazionista di buona parte della popolazione.                   Oggi nel conflitto in atto occorrerebbe arrivare quanto prima ad un compromesso prima della rovina reciproca, soprattutto considerando le centinaia di migliaia di morti tra i militari, e le sofferenze della popolazione che non sembrano preoccupare troppo i decisori in campo. Subalterne se non ininfluenti rispetto alla tutela dei diritti delle minoranze e delle conquiste della democrazia, o ai disegni imperiali.

E dire che la Russia parte dell’Europa, come auspicava Papa Benedetto quando ne vedeva i confini nella costa atlantica del Portogallo e nella catena degli Urali della Russia, sarebbe un subcontinente potente, ancora con la possibilità di affermare primati in tutti i campi del sapere e dell’economia.                                                                                                        Viene da pensare che non faccia comodo alla prima potenza imperiale del mondo, gli Stati Uniti d’America e a quella che ne sta insidiando il primato, la Cina. Entrambi hanno di fatto una solida alleanza nella divisione dei paesi europei, nella esasperazione della ideologia laico-progressista che impedisce un avvicinamento alla Russia diventata custode della tradizione cristiana del continente.                                            È accaduto che il tramonto dell’Impero romano d’occidente nel V secolo con Alarico prima e Odoacre poi, quando destituisce l’ultimo imperatore Romolo Augustolo, consegna le sorti dell’Impero a Costantinopoli. Sopravvive per altri mille anni ma nel 1453 cade ad opera di Maometto II. Ne rimane una vestigia solo formale in Europa con il Sacro Romano Impero. Scompare del tutto con la fine degli Asburgo nel secondo decennio del XX secolo. Di pari passo si è andato rafforzando nella coscienza della del popolo russo il sogno, l’utopia di una terza Roma che Mosca rivendica da secoli anche come eredità diretta, per via di legami matrimoniali dei Romanov con la casa imperiale di Bisanzio.                              E la continuità imperiale si salda con la tradizione giudaico-cristiana che face di Mosca anche la nuova Gerusalemme. Da qui il legame ferreo con la Chiesa ortodossa, con il patriarca Kiril che benedice le truppe che vanno al fronte a combattere la guerra con l’Ucraina. Da qui il bastione contro l’espansionismo islamico oggi come in passato, quando nella penisola balcanica i cristiano-ortodossi da sempre alleati della Russia difesero la cristianità dall’avanzata mussulmana, come e più ferocemente degli stati europei.                                                                                                    Oggi il regime autarchico russo, ostile alle democrazie giudicate corrotte, insensibile alle richieste di aperture alle minoranze come le associazioni di omosessuali, transessuali e varianti, o alla tolleranza nei confronti delle nuove droghe che in Occidente sono lecite, ha difficoltà o non vuole proprio aprirsi ad un confronto.                                                                     Bisognerà vedere quale delle due economie si rovina prima e di più in questa guerra tra Russia e Occidente-Ucraina.                                               Sarebbe bene che si arrivi a un compromesso da tanto invocato, perché al di là delle ideologie e di tutto il resto le due economie insieme farebbero una potenza globale: le immani risorse russe, la tecnologia europea, non ce ne sarebbe per nessuno.                                                                                    È che noi, per la difesa dei valori dell’Occidente ci siamo intromessi nella vicenda Ucraina senza conoscere a pieno cosa significa per la Russia quel territorio che considerano essere parte della grande Russia. L’affrancamento mal tollerato dopo la caduta del Comunismo è diventato affronto insopportabile quando si cominciò a preparare l’adesione del paese alla Unione europea e alla Nato, il disegno del governo attuale che era succeduto al precedente filorusso.                                                                 Kiev considerata l’origine e il centro di tutta la nazione russa, più della stessa Mosca. Fondata nel 482 d.C. sul fiume Dnepr diventò capitale della Kievan Rus’ intorno al X secolo. Si trattò del primo stato slavo da cui prese origine la Russia. Ecco perché non poteva passare al mondo occidentale, con tutto quello in termini di valori e storia che rappresentava, oltre ai risvolti economici e geopolitici.                                                                                         Sullo stemma- bandiera del Presidente della Federazione russa c’è l’aquila bicipite dei Romanov e S. Giorgio che uccide il drago: non c’è molto altro da dire.                                                                                                                        In questa storia gli Stati Uniti d’America giocano un ruolo fondamentale, i russi per gli americani sono sempre i comunisti con cui si sono confrontati aspramente per tutta la seconda metà del novecento. Scomparsa l’Unione Sovietica gli americani hanno potuto imporre il pensiero democratico in politica e liberista in economia da esportare in tutto il mondo. Sanata in qualche modo la sconfitta in Vietnam, ridimensionata Cuba, spina nel fianco, rimaneva da tenere a bada i paesi dell’America del sud che, sconclusionati, ogni tanto pazziavano.                                                                  Ma c’era sempre la CIA e la finanza a tenerli a bada.                                           C’era da fronteggiare i paesi islamici, ma con gli arabi del golfo in affari con loro si sarebbe trovato il modo di controllare certe pulsioni radicali, pericolose perché non solo lotta tra Islam e Cristianesimo, quest’ultimo solo parvenza, facciata di un Occidente ormai scristianizzato, ma lotta soprattutto tra i poveri delle masse arabe e i privilegiati occidentali. C’era la grande civiltà islamica che chiedeva di riemergere, c’era il petrolio che alimentava la ricchezza e il benessere occidentale. Insomma c’era tutto perché risolto il problema russo ci si concentrasse sul contrasto al radicalismo islamico. È la storia degli ultimi decenni con il terrorismo, la pretesa di esportare la democrazia, le primavere arabe, L’Afghanistan, soprattutto le torri gemelle a New York.  Vittorie e sconfitte l’irrisolta questione palestinese e il fuoco che cova sotto la cenere, per poi esplodere ciclicamente.                                                                                             Ma più ad oriente la Cina da paese di povera gente si libera dal radicalismo dei tempi di Mao e complice Nixon e Kissinger si apre al mondo e all’Occidente in particolare. E in Occidente hanno una bella pensata: facciamoli entrare nel commercio internazionale, impariamo a fargli fare qualcosa, oltre un miliardo di persone sarà la mano d’opera del mondo occidentale a basso prezzo. Maggiore ricchezza che riverseremo sui nostri operai diventati disoccupati, un nuovo welfare per tenerli buoni e intanto noi ricchi dell’occidente diventeremo sempre più ricchi.                  Ma nel frattempo la Cina ha imparato a fare le cose, detiene in cassaforte il debito americano, si sta armando e compete con l’America per il predominio nel mondo. E incredibilmente tutto questo con gli strumenti e regole del capitalismo e del liberismo, pur proclamandosi comunista.             Le cose stanno a questo punto.                                                                     Qualcuno, in questo sconquasso mondiale, pensa e lo dice sottovoce, che se l’Europa vuole salvarsi bisognerebbe fare la pace con Putin. Autolesionismo o lungimiranza?

Non è facile rispondere, stanno succedendo cose che minacciano la stabilità di cui il mondo ha goduto dopo la seconda guerra mondiale per la contrapposizione paralizzante in termini di conflitto, delle due superpotenze nucleari, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Crollato il comunismo in Russia, contrariamente a coloro che affermavano la fine della storia è stato un deflagrare di conflitti e di sommovimenti di varia natura in molte parti del mondo. Ora in Asia si è stabilita un’alleanza tra l’impero cinese e quello russo. Molti dicono trattarsi di un’alleanza di facciata tra vicini che si sono sempre detestasti, anche quando erano uniti da una medesima ideologia. Ci sono riferimenti di scontri nel XVII secolo quando si fronteggiarono militarmente a causa dell’espansionismo russo in Asia che voleva annettersi la Manciuria, e poi nel XIX secolo per le mire russe sul territorio cinese solcato del fiume Amur, infine nel secolo scorso per contese di confini lungo il fiume Ussuri.                                                    Dunque ora alleati: la Russia ex-comunista di Putin e la Cina comunista-capitalista di Xi Jinping. Un rapporto di forza invertito rispetto al passato, la Cina ora dominante. Un’alleanza tattica per le necessità della Russia impegnata nella guerra con l’Ucraina e per quelle della Cina nella contrapposizione con gli States per il predominio mondiale. Ma la subalternità della Russia non è definitiva, contrasta con il disegno imperiale che sta perseguendo. Ma intanto entrambi penetrano in Africa, in America del sud, ovunque riescono, al fine di soppiantare il predominio americano, nemico comune. Ancora un’alleanza tattica destinata a rompersi quando l’interesse comune verrà meno, nello svilupparsi del diverso disegno imperiale di ciascuno. In questo quadro generale è comparso Trump che vuole rifare grande l’America, una politica che è un connubio tra isolazionismo molto repubblicano e faccia feroce nei confronti del mondo con minaccia a scendere a vie di fatto, prima commerciali e poi militari se non gli si da ciò che rivendica.                L’inevitabile scontro futuro sarà con la Cina. Entrambi si stanno preparando a questo ineluttabile appuntamento, vedremo se anche militare, o se si inaugurerà una guerra fredda come per molti decenni tra America e Russia. Non ci è dato di prevedere.                                               Stanno ognuno reclutando pezzi di mondo da schierare dalla propria parte, ma la cosa non è così semplice con il sorgere di nuovi disegni imperiali come la Turchia di Erdogan che sogna un nuovo impero Ottomano, o come l’Iran Komeinista. E nuove nazioni si affacciano sulla scena internazionale come l’India e il Brasile e gli altri che rivendicano un ruolo indipendente, svincolato dal predominio americano.                        Grandi civiltà del passato che non ci stanno più a fare da spettatori, in posizione subalterna ai grandi. Pervicacemente ognuno insegue un sogno di protagonismo. L’incrociarsi di queste dinamiche rende arduo pensare cosa sarà. Trump sembra voglia ritirarsi dall’Europa, blatera che gli europei devono spendere di più per la difesa, gli Stati Uniti si sono stancati di spendere per tutti, anzi porrà anche dazi sulle merci europee.  Se le imprese vogliono vendere in America, che vengano con le loro fabbriche negli States e pagheranno meno tasse. Questo definitivo, da anni perseguito, allontanamento americano dal vecchio continente, ha reso il Mediterraneo un lago in ebollizione. In Libia dopo la bravata di Sarkozy gli italiani e anche i francesi sono stati ridimensionati, al loro posto o accanto a loro sono i russi, i turchi, gli emirati arabi uniti, il Qatar, l’Egitto, l’Iran, oltre le Nazioni Unite. Al di là delle ideologie, degli imperi da ricostruire, di quelli da mantenere, dei disegni revanscisti, c’è la corsa all’accaparramento delle risorse energetiche e materiali che fanno muovere il grande opificio del mondo, con la massa di denaro necessario prima e moltiplicato dopo. Negli ultimi anni si è verificato un sommovimento planetario che ha rotto la pax augustea che gli americani ritenevano di aver instaurato nel mondo come era accaduto per l’impero romano. L’Europa in mezzo a tutto questo appare come un vaso di coccio, in difficoltà a creare un idem sentire tra i vari stati che la compongono, una prospettiva comune che passa per una politica estera comune, ed un esercito comune. Appare trepidante per il temuto abbandono dell’alleato americano. Afflitta da una drammatica crisi demografica, impegnata nella tutela dei diritti vecchi e nuovi, nel mantenimento del welfare sociale, alle prese con una immigrazione necessaria ma gravata da radicalizzazioni terroristiche, appare come una vecchia signora imbolsita dagli anni e dalle morbilità. Riuscirà l’abbandono americano e i drammatici avvenimenti alle sue frontiere a generare una scossa violenta e salutare, da farle riguadagnare il posto tra i grandi della terra che la storia le ha consegnato?