L’epidemia

       

 

     

 

E’ pandemia da coronavirus, ci sono migliaia di morti nel mondo prima in Cina, Sud Corea, Giappone, poi in Italia, ora nel resto d’Europa, quindi nel mondo.         È solo un’influenza più forte, ma nel 1918 una simile influenza conosciuta con il nome di “spagnola”, fece milioni di vittime.          Si disse che il numero eguagliò quello dei caduti della Grande Guerra.      Le epidemie mettono paura più delle guerre e delle altre calamità che occorrono nel corso della storia.         Come i terremoti che però nella fase distruttiva durano un flash e poi via, sino al successivo.      Ed epidemie, terremoti, inondazioni, catastrofi varie generano paura, terrore, come di cosa da cui non ci si può difendere, come segno d’ira divina, di castigo per i nostri peccati.       E si andava in processione, per rabbonire l’eterno, per chiedere il suo soccorso.         Si facevano penitenze, s’invocava la vergine madre che potesse intercedere presso il suo divino figlio.       È un ritorno dell’uomo ad essere bambino per cercare protezione.    Un gesto irrazionale, quasi riprovevole secondo il pensiero laico.     Ancora oggi con la pandemia da coronavirus, si manifestano queste cose e la gente in privato si rivolge al Signore e il Papa visita il crocefisso miracoloso di San Marcello al Corso, e l’arcivescovo di Milano sale in cima al Duomo e prega la statua della “Madunina”, e il popolo segue entrambi dai monitors e prega con loro.      In particolare le epidemie ci terrorizzano oggi più di ieri.      Forse perché c’è memoria viva dei secoli passati, immortalata e riproposta dalle pagine di storia, dagli scritti dei letterati, dalla miracolistica che vede e ricorda il divino in quelle occasioni, e dalle celebrazioni che ogni anno in tutte le comunità si celebrano per ricordare.      Forse perché questi eventi intaccano la sicurezza del nostro mondo razionale, costruito scientificamente e monumento dell’onnipotenza dell’uomo.        Entra in crisi la certezza nelle luminose e progressive conquiste della civiltà umana.        Così è sufficiente un grumo, grande un miliardesimo di metro, che contiene un capello di DNA o RNA, e che passeggia a cercare un compagno umano con cui accoppiarsi per sconfiggere la sua solitudine, basta questo capello per mettere in crisi il mondo.       Dal suo incontro d’amore il grumo, il capello, il vermicello produrrà terrore, malattia e morte.      E di seguito si chiudono fabbriche, si disdicono viaggi e vacanze, cessano l’attività negozi, ristoranti, bar.        Si polverizzano i nostri risparmi, le nazioni si chiudono l’una all’altra, e litigano tra di loro.    Si chiudono anche le chiese perché la scienza rivela la natura della peste e la conseguente necessità di isolarsi nelle case.      E così viene a mancare il conforto della fede che ha anche bisogno di esteriori manifestazioni di culto per coinvolgere e rafforzarsi.       In mancanza di questo ci si affida alla tecnica digitale per celebrare gli antichi riti in una dimensione rarefatta, nell’isolamento degli individui.  Altre calamità che affliggono l’umanità non provocano medesimo terrore nella gente e nei governi, non altrettanta attenzione.        Eppure la droga che si è diffusa nel modo in modo capillare dal dopoguerra in poi ha causato milioni di morti, distrutto famiglie e comunità, inquinato il vivere civile, corrotto i costumi della società; e così il virus HIV che ha falcidiato una generazione intera. Insomma droga, AIDS, guerre, povertà hanno fatto strage nel mondo, ma non hanno evocato terrore cosi forti come l’epidemia in corso.      Sono state combattute, ma in qualche modo anche tollerate, quando non addirittura accettate perché funzionali al sistema.       Si pensi alle industrie che prosperano nella costruzione e nel commercio delle armi.      Si pensi a megastrutture come la FAO create per combattere la fame e che utilizza gran parte dei suoi fondi per mantenere i burocrati che girano negli uffici.        Si pensi alla stessa ONU che non è stata in grado di evitare i massacri in Iugoslavia sotto gli occhi dei suoi militari, o quello degli UTO in Africa, i compatrioti dell’allora segretario generale.     Ora l’epidemia in Europa vede uno straordinario allarme dei governi che reagiscono scoordinati e incerti sulle misure da prendere.    S’invoca una risposta dall’Unione europea che invece latita, ora che sarebbe chiamata per davvero a fornire prova della sua utilità oltre a vigilare sui bilanci.       La gente è sola e oltre la preghiera ritira fuori il tricolore e canta l‘inno nazionale, non sapendo più a chi rivolgersi.     E’ che in questa geremiade universale si percepisce che l’epidemia mette in discussione il sistema, la religione dello sviluppo illimitato, degli affari, del potere finanziario, che è l’essenza del sistema capitalistico che governa il mondo.      I milioni di morti della droga, dell’AIDS, delle guerre, della povertà, non minavano il sistema, ora invece si blocca tutto, si mette in crisi quello che si è andato costruendo nei decenni passati.       Si colpiscono gli interessi delle oligarchie del pianeta, forse risvegliano in loro da un angolo nascosto che credevano sepolto, antiche paure ed ossessioni.     Come satrapi di moderne Sodoma e Gomorra paventano la punizione di quell’entità sulla cui esistenza avevano deciso di mettere una pietra sopra.