La letteratura più recente riporta casi di fibrosi retroperitoneale in pazienti operati di trapianto che hanno ottenuto un notevole miglioramento del quadro clinico della malattia a seguito della terapia immunosoppressiva cui erano sottoposti (Rizetto et alii).       Abbiamo fatto una revisione della letteratura su questo raro quadro clinico.                       

Introduzione

La FIBROSI RETROPERITONEALE ( F.R.) è rara malattia caratterizzata dalla presenza di un tessuto neoformato di tipo fibrotico, ricco di elementi cellulari che sostengono un processo infiammatorio cronico.        La sua localizzazione è retroperitoneale, e talora incarcera gli ureteri ed altri organi.         La forma idiopatica riguarda i due/terzi dei casi, la forma secondaria è in relazione a tumori, infezioni, traumi, pregressi trattamenti radioterapici, e/o interventi chirurgici e somministrazione di farmaci.         La prima descrizione si deve ad Albarran nel 1905, poi Ormond nel 1948 ne precisò più diffusamente i caratteri.      L’introduzione dei corticosteroidi ha aiutato la guarigione dei pazienti, e l’uso della TC e della RM la diagnosi e il follow-up.           Spesso l’aorta addominale è coinvolta nel processo patologico con frequente dilatazione aneurismatica.       Quando questo accade, si parla di periaortite cronica, di aneurismi aortici infiammatori, di fibrosi retroperitoneale perianeurismatica.        I tre quadri hanno alcune fondamentali identiche caratteristiche: l’infiammazione avventiziale e periavventiziale, l’assottigliamento dell’intima, l’aterosclerosi avanzata.       Invece si differenziano tra loro per altri aspetti: nella fibrosi retroperitoneale pura l’aorta non è dilatata e l’infiammazione può o no interessare gli organi vicini.      Nell’aneurisma infiammatorio il neo tessuto si dispone attorno all’aorta ma non causa ostruzioni, nella fibrosi retroperitoneale perianeurismatica sono coinvolte le strutture adiacenti.       La confusione generata da queste definizioni si può risolvere parlando di periaortite cronica con e senza aneurisma.         Secondo l’ipotesi più accreditata si tratta di un processo infiammatorio scatenato da antigeni presenti nella placca aterosclerotica, configurando un quadro morboso le cui manifestazioni sono di una malattia autoimmune.                   L’incidenza è di un caso ogni centomila persone, due volte più frequente negli uomini che nelle donne, l’età maggiormente colpita quella tra i cinquanta e i sessanta anni.  E’ stata segnalata un’associazione tra esposizione all’asbesto con patologia pleuropolmonare conseguente a suggerire un analogo meccanismo patogenetico (lavoro del gruppo finnico di Uibu, Javenpaa, e altri.)                                                La diagnosi si ottiene con CT e/o MRI: si evidenzia un tessuto che circonda l’aorta e le arterie iliache e spesso le strutture vicine, ureteri e vena cava.     Il laboratorio mostra un aumento della VES e della PCR, e degli altri indici d’infiammazione.      L’istologia mediante biopsia percutanea, o per via laparoscopica, o con intervento open, diventa necessaria, quando la localizzazione non è tipica, e per differenziarla da altre patologie maligne.

PATOGENESI

Mitchinson e Parums definirono periaortite cronica il processo che raggruppa una serie di quadri tra cui la fibrosi idiopatica retroperitoneale, caratterizzati da grave aterosclerosi aortica, assottigliamento dell’intima, e infiammazione e fibrosi periavventiziale.           Si suppone causata da un’infiammazione locale reattiva a LDL ossidate, a cere, a lipo-proteine presenti nelle placche.                   La teoria suppone che quando la media si frammenta, questi lipidi ossidati sono presentati al sistema immuno-competente: i linfociti B e T.                    S’innesca un’infiammazione cronica auto-perpetuantesi che coinvolge la media e l’avventizia.   La conferma è data dalla presenza di IG-G adese alle cere, da macrofagi ripieni di cere nell’avventizia e nei linfonodi, da linfociti B e C nella media e nell’avventizia che attivano le interleuchine, da anticorpi contro lipidi ossidati e cere.      Però nella fibrosi retroperitoneale idiopatica si trovano anche autoanticorpi e si sovrappongono altre malattie autoimmuni che fanno pensare che anche la fibrosi retroperitoneale sia una malattia autoimmune, piuttosto che il risultato di una reazione infiammatoria determinata dall’aterosclerosi.              Probabilmente la patogenesi è più complessa, e comprende anche influenze genetiche.         Si è trovato, ad esempio, sovra espresso l’allele del gene HLA-DRB1*03, coinvolto in varie malattie auto-immuni, tra cui il diabete di tipo uno, la miastenia gravis, il lupus.        L’idea di una malattia sistemica è avvalorata dall’associazione con vasculiti di altre arterie e con l’arterite di Takayasu.       Seguendo quest’ipotesi, si sono studiate le pareti dei vasa-vasorum aortici e dei vasi peri-aortici.          Si è trovato a loro carico un processo vasculitico, che può essere alla base dell’assottigliamento della media e della formazione dell’aneurisma.                   Infine, l’estensione al tessuto periaortico dà conto della reazione fibro-infiammatoria.          Conseguentemente a questi dati, la reazione auto-immune a carico della placca potrebbe essere un epifenomeno.        Un’altra ipotesi privilegia la risposta autoimmune ai fibroblasti.             Inoltre biopsie ripetute nel corso della malattia hanno evidenziato la presenza di plasmacellule, del tipo IgG4, che sono anche coinvolte nella pancreatite sclerosante, a volte associata con la fibrosi retroperitoneale.             La presenza di cloni di linfociti B, e degli anticorpi da questi prodotti, che mostrano alterazioni delle catene pesanti, fa pensare anche a una primitiva patologia di questo tipo.          Negli ultimi cinque anni biopsie retroperitoneali per fibrosi idiopatica hanno confermato la presenza delle plasmacellule trovate nella pancreatite sclerosante, che abbiamo visto talora associarsi alla fibrosi idiopatica.                     Inoltre la presenza di linfociti B che sintetizzano anticorpi alterati nella componente catene pesanti, fa pensare alla fibrosi come manifestazione di un linfoma.              Da ultimo l’esposizione all’asbesto è stata compresa tra le varie ipotesi causali.                   Per le forme secondarie, si rimanda alla relativa tabella.

PATOLOGIA

Macroscopicamente si osserva una placca dura e biancastra e di vario spessore, che coinvolge l’aorta, i vasi iliaci, la cava, gli ureteri.      In alto non raggiunge mai le arterie renali, come in basso non interessa mai lo scavo pelvico, si arresta al promontorio sacrale.         E’ eccezionale che coinvolga anteriormente i vasi mesenterici, posteriormente la regione del midollo spinale, o lateralmente lo spazio periduodeno-pancreatico, e l’ilo renale.           Microscopicamente si osserva un tessuto fibrotico, nel cui contesto si nota abbondante presenza di cellule mononucleate.      Nei primi stadi sono presente edema e neovascolarizzazione, che preludono alla fase successiva d’infiammazione conclamata, con ricca presenza di cellule mononucleate, variamente disposte in un substrato costituto da collageno e fibroblasti.                   Negli stadi più avanzati, il collageno evolve verso un tessuto sclerotico e calcifico, e l’infiltrato cellulare si caratterizza per la presenza di linfociti T e B, macrofagi, plasmacellule, ed eosinofili. Non si rinvengono mai altri granulociti.          La cellularità appare isolata, e diffusa, organizzantesi in noduli e rosette, spesso attorno ai piccoli e medi vasi.       Gli stessi vasi insieme a strutture nervose sono anche circondati dal tessuto fibroso.             L’infiltrato infiammatorio assume talora carattere trans-murale a carico dei vasi e con tratti degli stessi in necrosi fibrinoide.                 La parete aortica invece presenta un assottigliamento dell’intima e della media, con evidenti aspetti di degenerazione aterosclerotica.               Caratteristico il reperto di un’infiammazione avventiziale con gli stessi caratteri di quella retroperitoneale, e tipicamente posta intorno ai vasa-vasorum, che assumono aspetti quali si rinvengono nella vasculite necrotizzante.                 Nella fibrosi retroperitoneale secondaria l’aspetto è sostanzialmente sovrapponibile, e anche in alcuni tipi di linfomi il quadro è simile, solo che l’infiltrato cellulare è di tipo monoclonale.

CLINICA

 

La sintomatologia comprende segni locali legati alla compressione, e generali legati all’infiammazione.      Tra i primi prevalgono il dolore addominale con irradiazione posteriore, edema degli arti inferiori per compressione dei vasi venosi, varicocele e/o idrocele e/o edema dello scroto per compressione dei vasi gonadici, sintomi urinari per compressione degli ureteri sino al quadro dell’uremia.         I generali, sono quelli legati allo stato infiammatorio, con febbre, dimagrimento, astenia, nausea ecc…            L’obbiettività è negativa, la diagnosi spesso tardiva, quando non occasionale in corso di accertamenti.         Per più dell’80% dei casi, è il coinvolgimento ureterale che spinge a porre diagnosi.

LABORATORIO

Evidenzia lo stato infiammatorio, con aumento della VES e del PCR, lieve anemia, aumento dell’azotemia e della creatininemia a seguito del coinvolgimento degli ureteri.         Inoltre si rinvengono anticorpi anti-nucleo, e anti –muscolo liscio in percentuali che variano dal 40% sino a oltre il 60%.            Anticorpi anti-tireglobulina e reperti come nell’artrite reumatoide.         Il tutto depone per una malattia di tipo auto-immunitario.

ESAMI STRUMENTALI

Poco dirimente l’ecografia, di scarso aiuto l’urografia.             La TAC, la PET, la MRI permettono di porre diagnosi.

MALATTIE AUTOIMMUNITARIE ASSOCIATE

Spesso, la fibrosi idiopatica retroperitoneale si associa a vasculiti, tiroiditi, lupus, colangiti, tutte a eziopatogenesi autoimmunitaria.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

La fibromatosi retroperitoneale, è la più importante.             In questo caso l’origine è a partenza dalla parte connettivale del tessuto muscolare, c’è una proliferazione dei fibroblasti che innesca e mantiene il processo.                  Il tumore è a carattere infiltrativo, dopo la rimozione tende a recidivare, ma non dà metastasi.      Spesso si associa alla sindrome di Gardner.      Il tumore infiammatorio mio-fibroblastico è caratterizzato da proliferazione di elementi cellulari, i miofibroblasti, anch’esso recidiva, ma non metastatizza.       Poi l’istiocitoma fibroso che è tumore maligno e infiammatorio, e il fibrosarcoma infiammatorio.

TERAPIA

L’obiettivo della terapia tradizionale della FR è di bloccare con farmaci il processo fibro-infiammatorio per attenuare la compressione delle strutture anatomiche coinvolte (principalmente vie urinarie e vasi), e chirurgia per risolvere i danni causati dalla compressione degli organi coinvolti.          Dunque corticosteroidi in prima istanza, che, nella fase acuta, bloccano l’attivazione delle citochine protagoniste dalla cascata di eventi che caratterizzano il processo infiammatorio, che poi evolve verso la sintesi e maturazione del collageno.      La terapia è spesso efficace con riduzione della massa e miglioramento dei sintomi.      Si inizia con una dose di attacco di 40-60 mg., e poi una dose di mantenimento, per circa due anni.         Quando la terapia cortisonica fallisce e si ritiene prevelente la componente autoimmunitaria s’impiegano immunosoppressori come ciclofosfamide e azatioprina, metotrexate, e micofenolato (mofetil), secondo schemi terapeutici diversi e modulati riguardo agli effetti tossici prodotti.        Si è impiegato con successo il tamoxifene, un antagonista dei recettori degli estrogeni, impiegato per lo più nel trattamento del cancro della mammella, meno tossico dei cortisonici e degli immunosoppressori (Barquero-romero, marquez velasquez, et alii).         Osservazioni con l’impiego della ciclosporina per altre condizioni patologiche come l’immunosoppressione nei trapiantati hanno verificato l’efficacia di questo farmaco. (marzano, trapani, et alii…)         La terapia chirurgica si riserva ai casi di fallimento di quella medica, per liberare gli ureteri dall’intrappolamento, più raramente s’interviene per l’interessamento di altri organi.         Se possibile si appongono stents negli ureteri, altrimenti chirurgia.      Per quanto riguarda l’aneurisma aortico, l’indicazione chirurgica è posta seguendo il criterio della dilatazione e del conseguente rischio di rottura.         Laparoscopia e robotica usati per biopsie della massa, ureterolisi, fasciatura con omento.

Discussione

In uno studio cinese del 2015 dell’ospedale universitario di Pechino si riportano i dati raccolti su trenta pazienti affetti dalla malattia, studio retrospettivo che copre un periodo di dieci anni.         Si è trovato una positività del fattore reumatoide nel 16% e anticorpi antinucleo nel 27, 3% . un aumento delle IG-4 nel 40,9%.       Fu praticata terapia medica con tamoxifene e glucocorticoidi.        L’approccio chirurgico fu apposizione di stent ureterali doppio-j in 26 casi, 2 casi di nefrotomia per cutanea, in 5 casi open ureterolisi e intraperitoneizzazione degli stessi, ureterolisi laparoscopica in 5 casi, 3 pazienti in dialisi per insufficienza renale.           Murawska e altri riportano un caso di fibrosi retroperitoneale associato a pseudotumore orbitale confermato istologicamente della stessa natura a testimonianza che la FR si associa a manifestazioni extraaddominali.           La fibrosi retroperitoneale comprende un gruppo di malattie caratterizzate dalla presenza di tessuto fibro-infiammatorio, che normalmente circonda l’aorta addominale e le arterie iliache e si estende allo spazio retro peritoneale, circondando le strutture vicine come gli ureteri.          La fibrosi retroperitoneale è generalmente idiomatica, ma può anche essere secondaria all’uso di certe medicine, malattie maligne, infezioni e interventi chirurgici.        La forma idiomatica si pensa essere il risultato di una reazione infiammatoria locale ad antigeni localizzati nella placca ateromasica dell’aorta addominale, ma evidenze cliniche e di laboratorio, come la presenza di sintomi generali-sistemici e, l’alta concentrazione d’indici di patologia in fase acuta, e la frequente associazione della malattia con patologie auto-immuni che coinvolgono altri organi, suggeriscono che può essere la manifestazione di una malattia sistemica autoimmune o infiammatoria.           I cortisonici sono normalmente usati per trattare la fibrosi retroperitoneale idiomatica, sebbene altre opzioni, immunosoppressioni o tamoxifene furono impiegati.        La prognosi è per lo più buona, ma, se non correttamente diagnosticata e trattata, la malattia può causare severe complicazioni, come l’insufficienza renale terminale.                  Qui si discutono i diversi aspetti della fibrosi retroperitoneale, focalizzando l’interesse sulla fibrosi idiomatica retroperitoneale e sulla diagnosi differenziale con le forme secondarie.           In letteratura sono riportati casi di aterosclerosi generalizzata associati a fibrosi retroperitoneale a suffragare qui la genesi aterosclerotica della FR.       Si sono visti miglioramenti della F.R. in trapiantati in cura con ciclosporina.

 

TABELLA  1        SINTOMATOLOGIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 2      SUMMARY

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 3       PATOGENESI

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 4    RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 5       MALATTIE AUTOIMMUNI ASSOCIATE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 6   ISTOLOGIA 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 7   DIAGNOSI RADIOLOGICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 8     DIAGNOSI SCINTIGRAFICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 9   CAUSE DI FIBROSI SECONDARIE   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 10        ALGORITMO