La dimensione etica della chirurgia

Pensieri in libertà tratti dalla lettura del libro “ Filosofia e Chirurgia” di Henrique Walter Pinotti

                                                      Ippocrate                                                                                                                  SPINOZA

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta di imparare un mestiere difficile, per alcuni di condizioni modeste, sorregge anche la necessità di un lavoro: magari è capitato quello per caso.    Oppure, se scelto: il desiderio di affermazione sociale; la condizione agiata, quando non la ricchezza; il desiderio di far del bene agli altri; la tradizione familiare; un delirio di onnipotenza dell’avere tra le mani la vita altrui; la ricerca scientifica; qualcuna di queste, o tutte, o altro ancora. Ecco cosa c’è dietro l’esercizio della nobile arte della chirurgia. Poi si va, e i destini si aprono, e ognuno si incammina sulla strada che gli occorre di percorrere.   Le motivazioni iniziali si scontrano con la realtà esterna, ed entrambe potrebbero-dovrebbero fare i conti anche con un mondo interiore di sentimenti e valori.

 

Accade?

 

Ognuno di noi sa, se e quanto.    Ma quali sentimenti e valori ammesso che ci siano, e quindi comportamenti?          Magari la cosiddetta professionalità: modi civili e una risposta scientifico-tecnica adeguata.  Ma c’è altro, ci deve essere altro tra due persone che si incontrano per un bisogno del più debole, il malato, che il chirurgo, il più forte, deve interpretare e risolvere se possibile, comunque aiutare.  Si, ci deve essere molto altro.     E quell’altro è dentro di noi, in parte innato e per certi versi tenebroso, in parte virtuosamente acquisito grazie al passato di cultura che ci portiamo appresso, su cui è necessaria una maieutica e indefessa riemersione…….

 

…..e allora dobbiamo ricordare che fummo umanisti prima di essere tecnici della modernità, educati un tempo allo studio delle discipline del Trivio e del Quadrivio, educati all’amore che tutto muove, alla“virtù e canascenza” che portò Ulisse oltre le colonne d’Ercole, educati a scoprire e seguire la legge morale che è dentro di noi, a guardare all’altro come immagine di Dio.   Infine a dominare le passioni per rincorrere la virtù e inseguire la vera libertà, che non è lotta contro nemici esterni, bensì sublimazione degli impulsi e dei condizionamenti che provengono dalle strutture neurologiche più filogeneticamente antiche del nostro cervello, che possono inquinare l’agire anche nell’attività professionale.   E’ un processo nel quale si esprime e conquista la libertà vera, frutto della lotta per la virtù.  Nella corteccia corticale è la sede dei processi razionali nei quali essa ragione si esprime e da cui matura la sua struttura, ma è anche la sede dell’immaginazione e della fantasia: nell’insieme, della nobiltà dell’uomo. Questi determinanti neurologici del comportamento umano contrappongono l’anima vegetativa, come la chiamava Aristotele, al mondo corticale delle idee.  Ed è lotta dura perché le pulsioni profonde reclamano il loro diritto di esistere, di manifestarsi, ma trovano il cancello della neo-cortex, che filtra, reprime, cancella.  Infine, soprattutto, tutela il suo spazio che vuole sempre maggiore, per le idee, l’immaginazione, la creatività.  In questo processo di lotta continua è la vera libertà, difficile e ardua ma che ha fatto il progresso della specie e quello di ogni individuo.  E questo processo di lotta e di conquista di una vera libertà è quello che rende l’uomo, un essere virtuoso, che esprime nella sua vita e nel suo lavoro, per noi la chirurgia, il frutto dell’evoluzione dall’uomo primitivo all’uomo della modernità……

 

………un percorso lungo e tortuoso che se da un lato ha lo stigma della ragione, dall’altro ha in sé qualcosa di oltre, non definibile, che ha percorso i territori del divino, ed ancora oggi, se pur inconfessati.  Ed è forse per questo, per il mistero dell’uomo che ha in sé qualcosa di divino, che gli antichi medici e chirurghi avevano un approccio sacrale al corpo dell’uomo con la proibizione alle dissezioni cadaveriche e ai medicamenti nocivi.     Si, che già nel codice di Hammurabi si comminavano pene severe per i chirurgi che procuravano danni al malato.    E quando il Dio trascendente sembrò essere meno incombente, l’uomo rinascimentale cominciò a guardare in sé stesso, a confrontarsi senza o con meno ipoteca divina con la morale e l’etica, già presenti nella nostra e in tutte le altre Bibbie. Cominciò a cercarle dentro di sé e nacque un’etica che fu meno religiosa e divenne progressivamente più umana, oggi diremmo laica.     Come in Kant , Spinoza, Vico ……

 

…………  si declinò in una naturale attenzione verso gli altri, in conflitto con altre pulsioni non altrettanto nobili.      Ecco perché occorre l’educazione non solo tecnica o di sapere scientifico perché il professionista possa svolgere la sua opera, guardando l’uomo dinanzi a lui, nella sua interezza di corpo ed anima o psiche o mente come la si voglia chiamare.     Relazionarsi in profondità perché la medicina e di più la chirurgia non siano una cosa fredda, impersonale, fatta di strumenti chirurgici, tecnologia avanzata di radiazioni ionizzanti, ultrasuoni, positroni, radiofrequenze, fibre ottiche, robotica…….

 

………….per qualche arcana via l’anima influenza il corpo e il corpo guarisce insieme all’anima o si ammala con essa, ecco perché la medicina orientale predica l’unione tra le due cose, si rivolge allo squilibrio tra  Inn e Yan per venire a capo del morbo.    Il mondo non completamento esplorato delle endorfine sta lì a spiegare l’efficacia di metodiche vetuste come l’agopuntura nel controllo del dolore e non solo…….

 

……………….la modernità si caratterizza in Medicina anche per un impoverimento della comunicazione profonda che non è la pratica del consenso informato o il ricorso alla medicina legale, o la falsa cortesia del professionista nell’attività privata pagante.     No, occorre che accanto alla scienza di numeri, immagini, e parole ci sia l’insegnamento del rapporto con l’altro, l’attenzione alla sua sfera emozionale.    Non va bene nemmeno affidare il compito allo psicologo di turno, emblema della parcellizzazione dei saperi.   Occorre ricondurre all’unità, in questo caso alla figura del chirurgo tutta la complessità dei pensieri ed emozioni della persona malata.  Il viaggio che si intraprende nelle patologie gravi è lungo, il riferimento fondamentale è uno, non può essere molteplice.   Questo è un danno della modernità, esso rimanda alla intuizione del pensiero medioevale dell’unità…………

 

…………..c’era un’Europa in qualche modo unita, allora, sotto le vestigia del Sacro Romano Impero.   C’era l’unità del sapere che aveva dimora nelle Università, sull’esempio della prima in assoluto, quella di El-Azhar al Cairo, e fu Salerno primo esempio di sincretismo culturale in ambito medico tra Europa, mondo arabo ed ebraico e dopo a seguire Padova, Napoli, Siena, Roma, Pisa , Perugia; e in Francia  Parigi, Montpellier, Touluse; e Salamanca in Spagna;  e Coimbra in Portogallo;  e Oxford e Cambridge in Inghilterra; e tutte le altre in giro per l’Europa.   E prima di molte e nel contempo con le più antiche c’erano stati e c’erano i monasteri, veri centri di sapere, di cultura, trascritta religiosamente a partire dai testi dell’antichità classica greca e romana.      E il medico aveva in società il nome di fisico, perché oltre che nella cura del malato si impegnava in speculazioni filosofiche sulla malattia e non solo.   Risaliva a Carlo Magno nell’Ottocento l’insegnamento della medicina nell’ambito della filosofia con il termine di fisica.  Questa era l’Europa prima del processo di frammentazione che portò alla nascita degli stati indipendenti e contrapposti, non riconoscenti più un’autorità superiore che era stata quella del Papa e dell’Imperatore.  Fu Riforma di Lutero che Gutenberg propagò in Germania prima e in Europa poi, con i principi tedeschi che ne presero occasione per liberarsi dal giogo romano.  Da allora un enorme sviluppo scientifico e sociale, un miglioramento progressivo delle condizioni della gente, la pratica della medicina secondo requisiti razionali, la nascita della chirurgia come branca scientifica a pieno titolo.     E tutto questo ha permesso l’evoluzione della Chirurgia, la creazione dei mirabili strumenti, di cui oggi disponiamo. Per contro lo sviluppo ha prodotto anche infiniti lutti come sempre nella Storia, ora in proporzioni terrificanti come nelle guerre mondiali del Novecento e nei successivi paventati disastri nucleari…………..

 

……………….e fu Europa, e Occidente, che hanno dominato il mondo sino ad oggi, quando gli equilibri sembra comincino a mutare e così il predominio occidentale.  Ed é globalizzazione che si sovrappone alle diverse culture del pianeta. Ovunque come in India, in Cina, dove redivivi Matteo Ricci hanno portato la scienza occidentale, la medicina e chirurgia occidentale , come pratica dominante rispetto alla tradizione.   Ma il nucleo antico di quella civiltà solo verniciata di modernità, sopravvive, e invia stimoli all’altra parte del mondo a ricomporre l’unità tra corpo e anima che è della loro cultura e che noi abbiamo perso in tempi lontani……..

 

…………Ritrovarla, sarebbe superare il concetto meccanicistico e razionale della medicina e tornare alla natura, la physis dei greci.    Una natura come descritta dalle parole di Heidegger” la traduzione di physis con natura è impropria: physis indica ciò che si schiude da sé stesso, il dispiegarsi di un processo. Esso designa tanto il cielo che la terra, la pietra come la pianta, sia l’animale che l’uomo, nonchè la storia umana quale opera congiunta degli dei e degli uomini”    Insomma la physis greca non è un mondo di oggetti, bensì un mondo di processi vitali e la normalità e in Medicina la salute non è uno stato di equilibrio  caratterizzato dall’assestarsi dell’organismo attorno a determinati parametri quantitativi , bensì la coesistenza armoniosa e non conflittuale tra questi processi. Dunque dobbiamo tornare a vedere il malato e non la malattia, l’essere nella sua complessità di processi vitali, la sua unitarietà tra mente e corpo, e per entrare in questa complessità occorre accanto ai sofisticati strumenti tecnici, l’empatia che si esercita nell’anamnesi, nella visita con i sensi del medico: la vista, l’udito, il tatto, l’odorato, dunque la palpazione, la percussione, l’auscultazione.     Attraverso quelle mani che dovranno poi operare si stabilisce un flusso di empatia che dà forza al malato e anche al medico.    Quante volte al letto del malato, parlandoci, tenendogli la mano, si acquistava coraggio per entrambi ad affrontare l’intervento difficile o contrastare la complicazione imprevista!……

 

……………questa è la dimensione più vera dell’essere chirurgo, quella che fece dire ad Ippocrate:” un medico che è anche un filosofo è simile ad un Dio”.   E non a caso negli antichi ospitali era il sacerdote o la sciamano a curare l’anima e il corpo, e gli ospitali erano accanto al tempio o la chiesa, a significare un’osmosi, una continuità tra anima e corpo, tra terra e cielo. Poi arrivarono i medici e convissero con i santoni, dovendo mediare la ragione scientifica con le preghiere o i riti magici.   Poi inevitabilmente dominarono e fu scienza, solo scienza.    Ma l’anima si mortificò e quel senso di abbandono e vedovanza persiste sino ai giorni nostri, a palesare l’inevitabilità dell’irrazionale.    E questa cosa suggerisce, proprio nell’epoca delle mirabolanti scoperte scientifiche, di esplorare altre strade della conoscenza che non siano solo quelle della ragione.      Forse anche per questo esiste anche nei nosocomi moderni uno spazio per la sacralità……….

 

 

……….si ricorda la figura  nel XVI secolo di Ambroise Parè che fu un grande innovatore nella pratica della chirurgia.   Aveva appreso il mestiere al di fuori dell’Accademia, da cerusici di campo, si era perfezionato sui teatri di battaglia dove era richiesta , abilità, tempismo e capacità inventiva se si voleva salvare quanti più feriti possibili.    E quella fu effettivamente una gavetta formativa per il Nostro che introdusse nuovi metodi di emostasi e di trattamento delle ferite. Osteggiato dai medici paludati acquistò grande fama sino a diventare medico personale del re di Francia.  Ma in tanto operare e così distante da speculazioni sui massimi sistemi dava mostra di non aver dimenticato la dimensione sacrale della chirurgia quando ebbe ad affermare e non in una sola occasione “ io mi sono preso cura di lui, Dio l’ha guarito”………….

 

………………ma esiste più prosaicamente anche un ruolo sociale del chirurgo che lo vede membro responsabile ed influente della società.   E il suo ruolo sociale si gioca principalmente nella sua missione di restituire alla famiglia e alla società l’uomo risanato, si che possa tornare alla vita di prima, riprendere il lavoro per sostenere la famiglia e sé stesso e svolgere la sua funzione nella società.   Questa cosa fa del chirurgo una figura pubblica che in qualche modo si trova ad avere un peso politico, nel senso nobile del termine, di apporto di idee e proposte per il miglioramento dell’organizzazione sanitaria, nel proporre acquisti di strumentazioni sanitarie, e perché no, colloquiare con le formazioni politiche che mostrino un’attenzione particolare per i problemi della sanità.                Principalmente nel senso dei valori dell’assistenza sanitaria a tutti, garantita dallo stato indipendentemente dal censo e dalla condizione sociale.   E riservare alla sanità privata un ruolo di supporto e non di competizione con il pubblico per funzioni non essenziali che possono essere svolte al di fuori dei complessi ospedalieri, sgravando gli stessi di prestazioni in qualche modo collaterali.   In tutto questo discorrere di medici e chirurghi, università, ruoli, accademia e tutto il resto si individua alla fine un denominatore comune che percorre il tempo e le civiltà………

 

………………………..c’è nell’uomo e questa volta piace pensarla nelle sue strutture cerebrali profonde accanto agli altri impulsi non sempre nobili, l’attitudine a prendersi cura degli altri, forse come retaggio della conservazione della specie, o il rifiuto della morte, realtà ineludibile di ognuno che ci accompagna sempre nel corso dei nostri giorni e che cerchiamo di esorcizzare anche con quel prendersi cura del sofferente , magari spinti dal pensiero inconscio di sperare nell’aiuto di qualcuno quando sarà il nostro momento…….         

 

 ……….E questo ha fatto la storia delle misericordie.   Presenti sin dal Medioevo in Europa soprattutto in Italia e diffuse poi in tutto il mondo civilizzato. Moto spontaneo di solidarietà delle comunità spesso al di fuori dell’odine istituzionale e poi da questo accettate e regolamentate e sostenute.  Ancora oggi le varie e molteplici croci bianche, e di vari colori che vediamo sfrecciare sulle nostre strade, a soccorrere malati o traumatizzati, a trasportarli in ospedale.    Ma questo apre tutto un altro discorso……………………………………