E’ passato più di un anno da quando sono stati introdotti i nuovi farmaci atti a curare l’epatite C. All’inizio della nuova terapia si calcolava che in Italia erano quasi due milioni le persone colpite dall’infezione virale, duecento milioni nel mondo. Naturalmente si tratta di dati al minimo, perchè tante sono le persone che non sanno di essere malate sopratutto nei paesi più poveri. L’epatite da virus C è malattia di cui si sospettava l’esistenza sin dagli anni 70, quando alterazioni dello stato del fegato non trovavano giustificazione né in abitudini alcoliche, né in infezioni da virus A o B. Per questo motivo tale sconosciuta nuova infezione fu chiamata epatite non A non B.
Solo nel 1989 si ebbe l’isolamento del virus nel sangue di un malato.
L’infezione, si scoprì, che si prendeva con trasfusioni di sangue, inoculazione di droghe, più raramente con rapporti sessuali, tatuaggi, piercing e altro.
Solo pochi guarivano spontaneamente una volta contratta (15%), gli altri sviluppavano una forma cronica.
Questa dava pochi segni di sé nei primi anni: scarsa clinica e pochi sintomi.
Questi si presentavano invece dopo decenni con i segni della compromissione epatica (ittero, ascite, emorragie, infezioni, ecc.).
A patologia conclamata la malattia prende nome di cirrosi: una sorta d’indurimento-cicatrizzazione del fegato, risultato dell’aggressione del virus, della risposta immunitaria dell’organismo, dell’attività rigenerativa dell’organo.
Questo quadro in circa 1/3 dei casi può evolvere in epatocarcinoma.
La terapia per molto tempo è stata solo sintomatica: diuretici, epatoprotettori, farmaci per la flora intestinale, vitamine, infusioni di plasma e albumina, dieta e comportamento di vita virtuoso.
Anche il ruolo della chirurgia era in qualche modo sintomatico per combattere le complicanze della malattia: derivazioni porto-cavali, il drenaggio peritoneo-venoso nel trattamento dell’ascite, la legatura o sclerosi delle varici esofagee per combattere l’emorragia, e resezioni epatiche per trattare la comparsa di neoplasie.
L’aggressione diretta al virus è storia relativamente recente si cominciò con l’interferone alfa di cui si sfruttava l’azione stimolante la risposta immunitaria del paziente. Sei mesi di trattamento portava nel 50% dei casi alla negativizzazione della carica virale e alla normalizzazione delle transaminasi. Però a distanza di tempo la malattia si ripresentava con esclusione di un 20% dei casi. In seguito è stata utilizzata la ribaverina, da sola e ancor più in associazione con l’interferon. In successione l’armamentario farmacologico si è arricchito di due nuovi farmaci, il bocevir e il telaprevir. L’aggiunta di uno o l’altro dei due farmaci all’interferone e alla ribaverina, nei soggetti responsivi ha portato ad aumentare la risposta positiva sino all’80% dei casi. Infine è sato sintetizzato dalla multinazionale americana Gilead il sofosbuvir e questo è sato il capofila di una serie di farmaci venuti subito dopo che, con un meccanismo sofisticato di blocco della replicazione virale e di ostacolo alla mutazione, al momento sembra abbiano risolto la malattia e sta archiviando il flagello dell’epatite C. Il problema è costituito dal costo della terapia, che per i paesi come il nostro dove l’assistenza sanitaria è gratuita, comporta un onere gravoso per la collettività. Si è deciso di affrontare il problema concedendo la terapia ai malati più gravi, per poi consentire il trattamento anche ai malati meno gravi. La scelta sembra logica , ma crea malumori quando non ribellioni tra gli esclusi. Accade pertanto che chi non ha la bossibilità di acquistarla privatamente dal libero mercato in Occidente, dove il prezzo si aggira sui 30000 euro ( una diminuzione rispetto ai 40000 euro dell’inizio ), si reca in India, in Egitto ed altri paesi meno sviluppati dove il farmaco si può acqistare a prezzi molto più bassi. Resta il dubbio sulla garanzia di sicurezza che questi paesi possono garantire. Verrebbe da dire che lo stato dovrebbe aprire a tutti la possibilità di curarsi , e trovare il denaro risparmiando su spese scellerate che continua a fare, ma sarebbe troppo facile qualunquismo.
Marcello Paci