La lista

 

Roma, mercoledì 20 dicembre ore 12, Ospedale San Camillo-Spallanzani.

Come ogni mercoledì, anche questo prima di Natale e ultimo dell’anno, si riunisce al centro trapianti il gruppo di lavoro che esamina i casi clinici raccolti nella lista dei candidati al trapianto di fegato.                     La disamina degli esami di laboratorio, delle immagini radiologiche e prima dei dati anamnestici è accurata.     Non manca la valutazione dello psicologo e del sociologo, che devono esaminare il quadro familiare e sociale del paziente, per valutare l’affidabilità dello stesso nella gestione dell’organo trapiantato.      Vale a dire: seguire un regime di vita consono, rispettare le prescrizioni mediche, sottoporsi ai controlli periodici e tutto il resto.   Alla fine per ogni caso clinico, ci sarà la decisione se immetterlo nella lista dei trapiantabili o in quello di esclusione.    Per questi, ci sarà il ritorno a casa, o, in assenza di quella, l’hospice, in attesa della fine.    È gente brava questa che forma il gruppo di lavoro.           E’ composta di medici, infermieri, psicologici, chirurgi, radiologici, anestesisti.  Hanno seguito i malati con professionalità e anche umanità, ma alla fine devono stilare quella lista e lo fanno con apparente leggerezza, senza evidente ambascia o partecipazione emotiva.    Decidono perché lo devono fare, perché quello è il loro compito, perché qualcuno comunque lo deve fare e chi se non loro?                                   Chissà, forse sarà stato così anche per i medici di Auschwitz.                                                                                                                           Si racconta che al di fuori del campo sembravano brave persone, ma alla fine anche loro avranno dovuto decidere chi mandare a sinistra verso le camere a gas e chi a destra verso i lavori forzati.     L’avranno fatto in conformità a criteri, se pur perversi, a loro modo scientifici e dunque senza partecipazione affettiva evidente.    Avrebbero potuto rifiutate quell’incarico quelli, non fanatici nazisti, che si trovavano lì solo come medici?      Probabilmente avrebbero compromesso la carriera e forse la vita, e infatti non si sa di tali rinunce.     Quante cose si potrebbero ancora dire sulla lista di Auschwitz e su quella dello Spallanzani, soprattutto della improbabilità di un tale confronto.       Ma alla fine c’è sempre una lista che condannerà qualcuno a morte e lo consegnerà, insieme al suo giudice, alla misericordia di Dio.