Stazione ferroviaria ore 10.
Passo per la sala d’attesa diretto alla biglietteria , devo prendere il treno delle 10 e 41 che mi porterà a Roma. Vuota la sala d’attesa, linda , ordinata , pulita da poco dagli addetti della mattina. Ospita una sola persona, è un uomo sui settant’anni piccolo di costituzione , ben vestito , composto, con la valigia accanto a lui, adagiata sul pavimento, in modo da occupare meno spazio possibile, perché non disturbi. Non occupa i sedili accanto, con borse, cappelli o altri indumenti, pur essendo liberi quei posti. Il cappotto ben piegato lo tiene sulle ginocchia, discreti i colori del vestito , la cravatta con un nodo ben fatto, nascosta dietro il gilet. Nella sala della biglietteria bivaccano giovani malmessi, seduti sguaiatamente sui sedili disponibili. Altri per terra, calzoni strappati e sdrugidi, ferraglie varie al naso o in bocca, improbabili capelli verdi o variopinti. Confusi tra di loro, e davanti, nel piazzale dove fermano gli autobus, magrebini e neri in maggioranza, stazionano trastullandosi col telefono, nell’inutile attesa che accada qualcosa. Gli uni e gli altri hanno chi li sostiene , li autorizza , li promuove. Mezzi d’informazione, cultura dominante, politica. Otterranno la droga libera, e l’eutanasia quando saranno stanchi di vivere, in un progetto di globalizzazione multiculturale come si ama dire oggi. Ma quell’uomo solo, nella sala d’aspetto, chi lo sosterrà, chi gli darà più, certezze e riconoscimento identitario? Si è comportato e ha vissuto come gli avevano insegnato e si trova ora straniero tra gente che non lo vuole più.