carrozza ferroviariaL’abbigliamento era perfetto senza una sbavatura: jeans appena logori, scarponcini, maglioncino aderente in tinta, leggero, a coprire un fisico asciutto, capelli corti un po’ imbiancati, pettinati in avanti senza pretesa di coprire un’iniziale calvizie frontale, occhiali chiari con una montatura alla moda, elegante. Sul vano bagagli, un montgomery e uno zainetto firmato, il viso rasato, occhi mobili, intelligenti. Quasi costantemente al telefono, senza ostentazione, con naturalezza, senza preoccuparsi di quelli intorno. Voce a tratti squillante come se non avesse alcuno intorno. Colloqui di lavoro, un lavoro intellettuale, universitario. Parole non solo di scienza, ma di equilibri politici, di carriere, d’incontri accademici. Grande sicurezza, eloquio scorrevole, appropriato per gli argomenti che si riusciva a cogliere, intramezzato da molti “cazzo”, non espressione decisamente volgare, piuttosto interiezione di un parlare efficace e risolutivo. Consigli pratici per interlocutori sottoposti, continuando a non guardare nessuno intorno, per i quali nessun accenno di cortesia o socialità: Sulle sue con naturalezza. Avanti a lui, con le ginocchia in contatto fisico tra loro, un ragazzo di colore scuro, il nero dell’Eritrea a giudicare dalla magrezza e dall’eleganza dei movimenti. Guardava con occhi spaventati, riconoscenti, verso chi mostrava di rispondere con un accenno di sorriso. Questo non veniva dal suo dirimpettaio che faceva mostra di non accorgersi della sua presenza. Non rifiuto o pregiudizio razziale, solo inesistenza dell’altro, se estraneo ai suoi interessi. Sarà stato sicuramente allineato al pensiero, non solo politico, dominante, sarà stato sicuramente un sostenitore dell’integrazione razziale, del multiculturalismo e di tutto il resto che forma il brodo di coltura della modernità. Però di quel negretto spaurito, non gli importava niente. Ho fatto le sue veci pur non appartenendo a quella religione laica, e con parole ho dato ristoro al bisogno di umanità di Hussein.