L’acqua scorre da sempre nei nostri fiumi o si riposa nei laghi prima di arrivare al mare, suo termine e inizio in un ciclo senza tempo. È acqua dolce, serve alla vita degli esseri vegetali e animali, serve all’uomo per sopravvivere e crescere. È preziosa, insostituibile, oggi soprattutto rispetto al passato, quando nei climi temperati c’era meno gente e meno animali di allevamento, e meno colture intensive, che consumano tutti acqua e dunque allora ce n’era in abbondanza. Oggi complice il clima, l’acqua comincia a mancare anche nelle zone temperate come la nostra, che temperata comincia ad essere sempre meno, vedi l’estate che stiamo vivendo, soffrendo. E mancando stimola le manovre di accaparramento, con i potenti che la fanno da padrone. È così che le multinazionali fanno incetta di acqua sui nostri monti e si fanno beffe di diritti acquisiti, come quelli dell’eroica comunanza di rio Fergia, che nonostante le delibere delle massime autorità giuridiche dello stato, abbiano riconosciuto i loro diritti, devono soccombere ai privati forti dell’appoggio del potere politico regionale e comunale. E questo vale per l’analoga comunanza di Gualdo Tadino……e per le tante altre in giro per l’Italia
Ma i potenti non sono solo i privati che pagando cifre irrisorie alla regione e meno o niente alle comunità locali, (chi sa perché essendo loro ad essere depauperate), rivendono l’oro bianco come oggi chiamano nei mercati internazionali l’acqua, a prezzi incredibili. Non solo i privati anche gli enti pubblici potenti, come la città di Perugia, che negli anni cinquanta cominciò la captazione di acqua dalle sorgenti del Topino, strappando un accordo con i sindaci della fascia con clausole che avrebbero dovuto reintegrare il preso, per altro limitato ad una quantità accettabile. E drammaticamente né l’una cosa né l’altra sono state rispettate. Onore al sindaco di Nocera di allora, avvocato Ariodante Picuti, che quanto meno riuscì a farsi fare l’acquedotto della città come raccontava don Germano, che nel contempo denunciava lo scandalo della diga di reintegro di Acciano mai completata. Da allora il nostro fiume complice il clima si è ridotto ad un rigagnolo. Ne ha sofferto l’agricoltura, gli opifici come si chiamavano una volta le attività artigianali e industriali, ne ha sofferto la gente e l’ambiente. Il fiume era luogo anche di svago e di socialità, e ad esempio, a Foligno nella stagione estiva si riempiva di gente per i bagni nelle sue acque e per i picnic sulle sue sponde. Oltre, durante tutto l’anno, ad essere fonte di reddito per coloro che dalla pesca dei pesci di fiume traevano il reddito per sé e buon cibo per la popolazione. Ma d’altra parte nella nostra realtà regionale il capoluogo l’ha fatta sempre da padrone, sin dai tempi dei comuni e delle signorie. Dall’alto della loro collina hanno dominato gli umbri, loro che umbri non erano, ma etruschi. È andata così sempre. Già negli anni trenta il bisogno di approvvigionarsi di acqua li aveva spinti a canalizzare in un acquedotto costruito ad hoc, un fiume che scendeva da Monte Cucco in località Scirca di Sigillo, decretando così la chiusura di un opificio industriale per la lavorazione del ferro e con esso della comunità che viveva intorno. I vecchi ancora ricordano con l’espressione “il maglio di Gedeone” quell’evento disgraziato. Disgraziato anche per il podestà di allora, un Buitoni, che, presente accanto al Duce nei pressi della Fontana Maggiore, rimase allibito quando allo schiacciamento del bottone da parte di Mussolini, non successe nulla, l’acqua proveniente da Sigillo non ne volle sapere di sgorgare nel bel monumento dei fratelli Pisano, simbolo della città. Raccontano così e anche che pensò bene di andarsene in Argentina e di rientrare solo alla fine del fascismo. Ma tornando all’oggi, questo è il tempo del progresso, della modernità. Un po’ difficile da digerire per i vecchi che vedono scomparire le cose della loro vita, oltre l’acqua di cui stiamo parlando. Perché quanto detto vale anche per i presidi sanitari, tutti concentrati a Perugia e nelle quattro città più grandi della regione. Nocera ne sa qualcosa avendo dovuto subire la chiusura del suo Ospedale dei Pellegrini. Ci venivamo a lavorare noi medici di Foligno, accanto ai medici di Nocera, e la gente veniva anche da lontano, affrontando lunghi viaggi come per coloro che abitavano nei paesini del territorio marchigiano, dei quali Nocera era città di riferimento. È modernità, è progresso. Ma non sempre questo si declina con migliore. Andrebbero ripensate le politiche degli ultimi decenni: il mito della crescita infinita; il mercato capitalistico padrone del mondo; il denaro delle grandi ricchezze dei pochi sulla povertà dei più; il riarmo delle nazioni con tanta voglia di mettere alla prova le mirabolanti creazioni dei fabbricanti di armi. Ripensare le politiche e il tema dell’acqua ci sta con la riscoperta dei ritmi e le cadenze della natura da cui veniamo e con la quale dobbiamo continuare a confrontarci. Questo tempo di guerra che stiamo vivendo, con l’orizzonte gravido di sviluppi funesti dovrebbe imporci una pausa di riflessione, farci riscoprire le ricchezze del nostro territorio di cui vivere, e lottare per preservarle. Dunque appoggiamo l’azione di associazioni e semplici cittadini che lavorano per riprenderci l’acqua del nostro territorio. Sta per scadere la concessione per il prelievo delle acque del Topino è tempo di far sentire la voce della gente di queste terre.