Nella cultura classica la cura del corpo era un topos, privilegio non solo delle classi agiate. Basti pensare alla diffusione delle terme che rispondevano ai bisogni del corpo, e in uno, alla salute dell’anima. La cura del corpo si riservava anche ai morti. Omero nel libro VI dell’Odissea cosi scrive di Ulisse “ ma come tutto si fu lavato ed unto, e di quei panni vestito, ch’ebbe da Nausica in dono, lui, Minerva, la prole alma di Giove, maggior d’aspetto e più ricolmo in faccia rese, e più fresco e dei capelli lucenti, che di giacinto a fior parevano sembianti” E sempre Omero nel libro XVIII dell’Iliade, cosi descrive il pianto di Achille sul corpo di Patroclo: “e ai compagni il divo Achille ingiunse che solleciti lavassero all’estinto il sangue effuso fuor dalle ferite. E poiché l’acqua nel lucente bronzo bollente fu, lavarono la salma e l’unsero con pingue olio, e le piaghe chiusero con un balsamo novenne. Poi in tenue lino tutta l’avvolser dalla testa ai piedi”. Questa cultura continua anche agli albori del Cristinesimo: in Giovanni 19,40 si legge “essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i giudei…” Si può dire che nella cultura delle società antiche l’uomo era visto nella sua interezza di anima e corpo, di ragione e sentimento, di fisicità e spiritualità. Un tutto unico inscindibile che riassumeva in sé la complessità del cosmo. Accade che la decadenza e la fine del mondo greco e romano, la comparsa di nuove culture ed in particolare del cristianesimo, inaugurano una dicotomia tra corpo e anima, che fu tipica del pensiero occidentale, in netto contrasto con quanto si sviluppò in quello orientale. Questa dicotomia fu destinata sempre più ad approfondirsi nei secoli successivi, e rappresentò in qualche modo l’elemento peculiare della nostra civiltà. Dalla rivoluzione scientifica di Galileo, all’Illuminismo, al positivismo il dominio della ragione portò allo straordinario progresso della civiltà occidentale, ma anche ad una deriva materialista che lasciò l’uomo orfano di certezze e conforti escatologici. L’aveva intuito per tempo Pascal che predicava l’incapacità della ragione senza il cuore di pervenire alla conoscenza e alla verità.
Lentamente anche nel campo scientifico certe granitiche certezze sono progressivamente entrate in crisi e l’assioma del metodo induttivo: dall’esperienza alla teoria, inaugurato dalla scienza moderna ha dovuto fare i conti con le speculazioni di Stuart Mill, Popper, Russel ed altri che hanno messo in dubbio la inevitabilità di quel percorso scientifico e dimostrato come una contaminazione di tipo intuitivo e dunque deduttivo sia inevitabile. Emblematico è il modo di procedere di Albert Einstein che coniuga l’intuizione con il metodo sperimentale, formulando modelli matematici di comprensione della fisica dell’universo, che solo successivamente avranno una conferma osservazionale e sperimentale. L’assolutezza della formula E= MC2 ben riassume la cosa.
Cosi anche in Medicina il metodo potremmo definire osservazionale del periodo classico di Ippocrate e Galeno che coniugava empirismo e razionalità, senza disdegnare componenti religioso-divinatorie si è andato progressivamente caricando di valenze scientifico-razionali che hanno creato gabbie interpretative delle patologie, rigide e non del tutto esaustive. Questo fenomeno non è accaduto in Oriente dove accanto alla scienza ufficiale persiste una Medicina tradizionale che utilizza con successo metodi di difficile comprensione scientifica. Valga per tutti l’esempio dell’agopuntura negletta e rigettata in Occidente fino a che la dimostrata sua efficacia ne ha permesso una certa diffusione, sino a pervenire ad una legittimazione solo quando si è scoperto che la sua azione benefica va ascritta alla liberazione di endorfine attive sulla percezione del dolore e non solo. A significare la rigidità dello scientismo che rifiuta l’evidenza se questa e fino a che questa non trova una giustificazione razionale. E anche su questo il pensiero di Pascal sarebbe illuminante. Il tutto rimanda al problema fondamentale dell’episteme: la conoscenza è esclusivamente razionale?. In Fisica prima che in Medicina si è acquisito che i modelli descrittivi del reale sono artifici razionali che hanno validità solo probabilistica, esemplificazioni che tentano di rappresentare una realtà continuamente mutevole. Ne è un esempio il modello atomico di Bhor-Rutherford, rappresentazione meccanicistica di forze e flussi di energia presenti e cangianti nella dimensione atomica. E dunque questo vale per la Medicina ad esempio in Chirurgia è noto che lo stesso intervento eseguito dallo stesso chirurgo non ha sempre i medesimi risultati. Concorrono svariati fattori che l’indagine più accurata non riesce a spiegare. Od anche nella pratica clinica casi di analoga difficoltà interpretativa. Emblematici i casi di risveglio improvviso di patologie neoplastiche a distanza di molto tempo dalla apparente risoluzione della malattia che ad un’indagine attenta rivelano un grave trauma psicologico come se questo avesse la capacità di risvegliare cellule neoplastiche dormienti. Dunque si può argomentare che il pensiero occidentale con le straordinarie conquiste che è riuscito a raggiungere in campo scientifico, sociale, economico ecc., ha però perso una visione unitaria della realtà che invece permane nel pensiero Orientale. Ancora in Medicina la difficoltà di ricondurre ad unitarietà i meccanismi omeostatici, le funzioni dei singoli organi, l’influenza della psiche sui processi vitali. Esemplificativo in proposito è il ruolo della cute da semplice barriera tra mezzo interno ed esterno, a complesso sistema neuro-endocrino ed ormonale. Dal che il concetto di omeostasi di Claude Bernard diventa una funzione dinamica espressa da complessi processi vitali, che concorrono all’economia dell’intero organismo. Esemplificativo sempre a proposito di cute è la costatazione che traumi, ustioni, incisioni chirurgiche, attivano una risposta infiammatoria, ormonale, neuro-endocrina che è in grado di influenzare le funzioni degli organi interni. L’ulcera gastrica di Curling negli ustionati, l’interessamento cutaneo nelle tireopatie, etc.. hanno a che fare con la relazione stretta tra cervello ed intestino studiata da Erspamer, alla quale si può aggiungere la cute. Accade che analoghi mediatori chimici , neurotrasmettitori, ormoni si scoprono in organi diversi, i quali in tal modo vengono collegati nella loro fisiologia e anche patologia. Dunque l’estrema specializzazione della cultura occidentale, che ha sezionato il sapere creando gabbie non comunicanti tra di loro, sta mostrando i suoi limiti a favore, nel campo della Medicina, di una visione unitaria degli organi e delle loro funzioni, con la psiche che svolge un ruolo determinante. Tutto questo lo aveva intuito la cultura orientale, ed è giunto il tempo di ricomporre l’unità tra le due culture.
Per assurdo, la moderna chirurgia si inserisce in questa riflessione, quando consideriamo le tecniche laparoscopiche e robotiche. Perché le metodiche che all’inizio venivano considerate solamente come un diverso approccio alla cavità addominale, vale a dire non più grandi incisioni cutanee, ma minimi fori di accesso, si sono rivelate essere non solo risposta ad esigenze di natura estetica. In effetti la loro valenza è molto più complessa, basti pensare che la minore compromissione dell’organo cute, significa non interferire con le funzioni di comunicazione, relazione, e vigilanza con il mondo circostante, che la cute realizza grazie all’apparato neuro-endocrino di cui è provvisto. Di più, lo scatenarsi massiccio dei fattori di crescita tissutali che si realizza nella riparazione delle grandi incisioni chirurgiche, in caso di chirurgia oncologica, rappresenta uno stimolo per l’espressione di cellule neoplastiche residue. Incredibilmente la modernità tecnologica concorre alla ricerca dell’unitarietà dell’organismo umano, sempre meno la malattia e sempre più il malato.