La basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio a Roma
Sant’Agostino nasce a Tagaste (attualmente in Algeria) nel 354, e muore vescovo, a Ippona nel 430. Scrive molto non solo di teologia, e poi compone la sua opera più conosciuta: Le Confessioni, sorta di autobiografia, dopo la conversione al cattolicesimo per l’influenza della madre Monica e di Ambrogio vescovo di Milano. Da quel momento in poi, abbandonata la vita di piaceri e lontana da Dio , diventa un servo della chiesa, combatte le eresie del tempo, e si dedica alla ricerca teologica di cui diventa un maestro. L’aspirazione a vivere da monaco fu vanificata dalla sua nomina a vescovo, ma la Regola che lui lasciò, dette vita a numerose comunità monastiche.
Nel 1256 papa Alessandro IV le riunificò nell’Ordine Mendicante degli Eremitani di S.Agostino. Da allora l’ordine agostiniano, pur mantenendo l’origine eremitica, scelse di vivere nelle città, privilegiando uno stile di vita contemplativo, caratterizzato dalla preghiera e dalla liturgia, dallo studio della sacra scrittura e della teologia.
L’idea di costruire una chiesa dedicata al santo, in Roma, prende le mosse nel 1286 con l’atto di donazione di alcune case in Campo Marzio da parte del nobile Egidio Lufredi agli agostiniani di Piazza del Popolo. L’anno successivo, papa Onorio IV vi consente la realizzazione di un convento ma non di una chiesa, perché in loco c’era già S.Trifone, che poi sopravvisse, annessa al convento sino al 1736. Nel 1296 papa BonifacioVIII incaricò il vescovo Gerardo di dare inizio alla costruzione della nuova chiesa. Il cantiere andò avanti lentamente con frequenti interruzioni e ripresa dei lavori , tanto che si può indicare nel 1446 la data di fine lavori. Alcuni decenni dopo sotto il pontificato di papa Sisto IV e per interessamento del suo camerlengo, protettore dell’ordine e ricchissimo cardinale Guglielmo d’Estouville, i lavori ripresero. Si fece una ristrutturazione radicale ad opera dell’archirtetto Giacomo di Pietrasanta a partire dal 1479 e sino al 1483. Nel 1500 furono eseguiti altri lavori che continuarono nei secoli successivi e videro il concorso di artisti come Michelangelo, che fece un quadro per la chiesa ora alla National Gallery di Londra. Borromini ne ridisegnò la pianta. Finchè nel 1756 fu dato incarico a Vanvitelli e a Carlo Murena di rimettere le mani sulla chiesa , che fu ampiamente rivisitata , in particolare fu rifatta la cupola senza tamburo e il campanile, oltre la disposizione interna delle cappelle e la sagrestia. Altri interventi furono fatti cento anni dopo sotto Pio IX.
.La piazza è ampia, circoscritta da alti edifici curiali, dal lato sinistro una piccola strada, via dei Pianellari, a ricordare le arti e i mestieri della Roma medioevale e rinascimentale che fecero la nuova bellezza della città. Davanti un’altra strada che prosegue via delle Coppelle, oltre la piazza si continua con via dei Coronari, a creare un lungo rettifilo che nel Medioevo i pellegrini percorrevano sino ad attraversare ponte S.Angelo ed arrivare a San Pietro. Sulla destra per chi guarda la chiesa si sviluppa, annessa al complesso conventuale, la biblioteca Angelica. Questa divide la piazza e la chiesa da via della Scrofa, dove si apriva un tempo la facciata della chiesa di San Trifone distrutta dai rimaneggiamenti che nei secoli S.Agostino e il convento hanno subito. Ne rimane come memoria l’abside che, inglobata in San Agostino, fa rilievo come una grossa tonda pancia su via dei Pianellari. Vanvitelli e Murena nel 700 hanno ingentilito la facciata con due riccioloni ai lati in alto, che sanno di leziosaggine rispetto alla stessa che appare di gusto rinascimentale, ben squadrata con elementi geometrici. I due architetti e prima di loro, Giacomo di Pietrasanta e gli altri primigeni, fecero man bassa di travertino rubato nella cava a cielo aperto del Colosseo, quando ci misero mano alla fine del 1200 sino a tutto il 1700. Come pure del marmo, con cui fecero i portali e la scalinata.
Ora, il marmo della scalinata è scomparso e pure la gente che affollava un tempo la chiesa. Pochi a pregare e ad assistere alle funzioni liturgiche. Alla messa del mattino se si tolgono le suore ed altri religiosi saranno 10 persone , ancora meno la sera. Tra i pochi, Papa Francesco a pregare sulla tomba di Santa Monica. Invece costante il flusso di turisti in era precovid. Sandali, shorts , seni in mostra e chiappe prepotenti. Vengono a vedere Caravaggio, non degnano di attenzione Lanfranco un grande pittore anch’egli del 600, né il S.Agostino del Guercino, o il profeta Isaia di Raffaello, o i quadri del Brandi, le statue del Sansovino, gli affreschi del Gagliardi, il tabernacolo dove si custodiscono i resti di santa Monica, la mamma di Agostino, e molto altro.
E’ conseguenza della predicazione dei guru del pensiero dominante , che in ogni epoca storica decidono cosa è buono e cosa no, cosa è bello e cosa meno o decisamente brutto. Cosi stilando i termini e i canoni del corretto o del diabolico hanno deciso che Caravaggio è il miglior pittore di sempre. Senza voler togliere nulla alla grandezza di Caravaggio, va ricordato che il giudizio per secoli è stato meno entusiasta. Basti pensare ai furti di Napoleone nella campagna d’Italia quando depredò le grandi città e anche i piccoli centri, di tutti i maestri della pittura italiana, lasciando al loro posto le opere del Nostro. Forse c’è una componente di costume, perché Caravaggio era un lestofante, assassino pure, e questa cosa ad un certo punto ha fatto molto fico. In qualche modo ha contribuito, più della sua arte, alla glorificazione. Poi il sentimento anti-religioso e soprattutto anti-Chiesa Cattolica del mondo laico, ci stava bene con il suo riempire le tele di puttane fatte passare per Sante e Madonne. Qualcuno, come una congregazione a Trastevere, non stette al gioco e rifiutò le opere commissionate. Grande discredito e condanna postuma planetaria. E comunque la Madonna dei Pellegrini conservata nella prima cappella a sinistra per chi entra, è stupenda e consegna all’immortalità Lena, l’amante del pittore che per quella donna attentò alla vita di un notaro in piazza Navona. S. Agostino è la chiesa principale del quartiere Campo Marzio, qui si fermavano gli eserciti della repubblica, fuori delle antiche mura Serviane, qui Romolo ascese in cielo davanti gli occhi increduli dei suoi compagni d’armi reduci dalla guerra con i Veienti. Forse anche per questa sacralità del luogo, la chiesa è rialzata rispetto il piano stradale, o forse per accompagnare i fedeli nell’elevazione dell’anima mentre si apprestano alla preghiera, o più banalmente e probabilmente per proteggerla dalle frequenti alluvioni che il Tevere regalava alla città. Se ne accorse Re Vittorio Emanuele II nel 1870, quando venuto a Roma per prendere possesso della capitale della nuova Italia, s’imbattè nell’alluvione che portò le acque sino al Pantheon. Fu lì che decise di costruire i muraglioni a difesa della città che ancora oggi percorriamo in macchina sui lungo-Tevere.