In che consiste l’anestesia a cui ci sottoponiamo quando accade che dobbiamo essere operati?
La prima tappa è la premedicazione.
Serve a tranquillizzare il malato, a indurre uno stato di sonnolenza, a metterlo al riparo da possibili effetti indesiderati dei farmaci che saranno poi usati. Tutto questo si ottiene con una benzodiazepina ( midezolam) e con l’atropina.
La seconda tappa è l’induzione dell’anestesia
Attraverso il catetere venoso già usato nel tempo precedente si iniettano farmaci che servono per abolire il dolore, provocare una perdita della coscienza, e rilassare tutta la muscolatura del corpo. Sono un oppiaceo (fentanyl), un barbiturico (diprivan), un curaro (rocuronio). A questo punto si introduce attraverso la bocca un tubo, di materiale morbido non traumatico, una volta di gomma , oggi di materiale plastico, che raggiunge la trachea. Una volta attaccato al respiratore permette al paziente di respirare, perché da solo non ce la farebbe a causa dello stato di incoscienza indotto. Il respiratore è una macchina complessa che consente di erogare una miscela di aria e ossigeno e un gas ( sevorane) che mantiene l’anestesia. Oltre che insufflare aria e gas il respiratore è dotato di monitor che controllano la pressione del sangue , l’ossigenazione, l’attività cardiaca e le altre principali funzioni dell’organismo.
La terza tappa è il mantenimento dell’anestesia
Come si è detto lo si fa attraverso l’aggiunta alla miscela di aria e ossigeno, che viene insufflata nel paziente, un gas anestetico (sevorane). Inoltre dosi refratte di oppiacei e rilassanti muscolari per mantenere ideale il campo operatorio per il chirurgo che sta lavorando, e nel contempo un sufficiente stato di incoscienza,assenza del dolore e mantenimento dei parametri vitali per il paziente.
La quarta tappa è il risveglio
Lo si ottiene attraverso l’eliminazione di tutti i farmaci precedentemente ricordati che sono serviti per indurre e mantenere l’anestesia. In particolare attraverso il tubo endotracheale si fa respirare prevalentemente ossigeno fino a quando il paziente riprende il suo respiro spontaneo e a quel punto si toglie il tubo e l’avventura è finita.
Da tutto questo si comprendo come l’opera dell’anestesista sia importante come e più di quella del chirurgo. In qualche modo, estremizzando si potrebbe quasi dire che il chirurgo è la mano e l’anestesista la mente.