LA CASA CANTONIERA DI SCHEGGIA

Le colonne d’ercole le ho attraversate, ma più e più volte mi sono ritratto per rifugiarmi nel mondo conosciuto dei padri.  Ogni volta sono passato davanti a quella casa cantoniera in cima al varco appenninico, metafora del limitare del mio paese da abbandonare e dove tornare per ritrovarmi.  Sta  lì chiusa ,disabitata , ma ben tenuta a differenza di tutte le altre, abbandonate e cadenti . No, quella no, fa bella mostra di sé con il rosso assoluto dell’intonaco murale e la scritta su fondo bianco a caratteri neri,ormai desueti a giustificare la sua esistenza. E’ inquietante e del pari rassicurante quello stare lì, sulla cima dell’aspra salita,  quasi a premiare lo sforzo dei motori, e prima, quello  dei viandanti,  sino a ieri o ieri l’altro. Fu tempio pagano un tempo, celebrava  Giove Appennino  che aveva visto transitare  le truppe dei consoli e degli imperatori, stanche di guerre, di ritorno  a Roma.  Roma, come un miraggio, o un sogno lontano. Dalle Gallie, dalla Germania, dall’Inghilterra , dall’Illiria,  dalla Pannonia , da tutto il mondo conosciuto. Perché tutte le legioni  passavano di lì per tornare a casa. Prima li aveva visti agili e pieni di forza,  affrontare la discesa che li avrebbe portati alle guerre, e ai massacri inferti e subiti, per la gloria loro e di Roma. Cosi trascorrere la casa cantoniera di Scheggia  é come caricarsi di  tutto questo, e il nostro andare si colora di inquietudini che ripassando lì al ritorno sapranno di quiete se ci accadrà di tornare.