Il desiderio di morte unisce i talebani e la sinistra radicale

Cosa c’è dietro la malcelata comprensione che la sinistra radicale europea ,e sicuramente quella italiana, dimostrano nei confronti dei terroristi islamici?     E’ una comprensione che si appalesa nei fatti, anche se negata a parole.     Poche o nessuna manifestazioni di piazza, nè invettive contro l’islam radicale, distaccato sostegno per le vittime dello stesso.     Invece sempre feroci prese di posizione e campagne sanguigne contro coloro, americani, inglesi, e altri che hanno dichiarato guerra all’estremismo mussulmano.    Pure una persona accorta e moderata, come il nostro ministro degli esteri D’Alema di qualche anno fa, ebbe a dichiarare che il movimento Hamas era un interlocutore insostituibile nello scacchiere palestinese, in quanto espressione democratica di una larga parte del popolo.     Non un accenno al fatto che hamas predicava l’eliminazione dello stato israeliano con la violenza .    Espressione che imporrebbe una riflessione sul concetto di democrazia, e sulla sua dimensione escatologica.    Forti sentimenti antiamericani sono probabilmente alla base di questo atteggiamento, insieme al sostegno al mondo arabo che dal dopoguerra in poi è stato una costante dell’Unione sovietica e dei partiti comunisti occidentali: le masse medio-orientali viste come parte del movimento operaio internazionale.    Sfruttati contro sfruttatori, il vasto proletariato arabo posto sotto il dominio di una casta ricca parassitaria legata all’occidente, vedi l’Arabia Saudita e la costellazione dei tanti stati, retti da sultani ed emiri.     Dittatori provenienti dalle fila del partito socialista arabo Baat come Nasser, Assad, Sadam Hussein, e anche Gheddafi non potevano che essere visti con favore e simpatia.    E la politica estera italiana si è sempre allineata a questa posizione: sempre filoaraba, ma con prudenza ed ipocrisia.    Sostegno a parole dei diritti di Israele, apparente equidistanza perché non politicamente corretto prendere le parti di uno, timidamente nascostamente autonoma dalla unidirezionalità della politica imperialista americana decisamente filoisraeliana. Televisioni e stampa e in generale i media nostrani hanno seguito questa linea, ma con accentuazioni più di sinistra, sino a perdere di obbiettività.   E dunque i civili israeliani caduti negli attentati sono solo dei morti, mentre quelli palestinesi sono persone trucidatate dall’aggressione e smisurata rappresaglia degli israeliani e si sottolinea sempre che ci sono bambini tra le vittime.    In questo gioco delle parti tutto è variabile e cambia, ma non l’odio della sinistra per l’imperialismo americano, che poi era simile a quello sovietico, ma questo mai altrettanto duramente combattuto.   Il gran muftì di Gerulasemme negli anni 30-40 era spesso a Roma e a Berlino contro gli interessi inglesi nella zona, e poi gli arabi furono dalla parte dell’occidente contro il nascente stato isreaeliano fatto di socialisti appoggiati dalla Unione Sovietica, ma poi gli Stati Uniti divennero amici di Israele e i sentimenti cambiarono.   Quanta variabilità di schieramenti nello scacchiere medio-orientale!     Ed ora i talebani si fanno esplodere contro l’Occidente corrotto e capitalista, e la sinistra radicale sente di non riuscire a detestarli o ad odiarli fino in fondo.   Avverte che c’è qualcosa in comune tra loro: forse il desiderio di morire per una causa superiore.    Loro, i reduci del sogno comunista, avvertono un affievolimento della fede o addirittura non ce l’hanno più, e imbolsiti dai salotti, e dagli agi del benessere non ne hanno più il coraggio e allora amano quegli sfruttati, quasi proletari dei bei giorni della Rivoluzione, che muoiono anche per loro.